13/06/2018

L'Europa di fronte al laboratorio italiano

Filosofa e giornalistaL’ombra di Soumaila Sacko, il bracciante maliano del campo calabrese di San Ferdinando fucilato per strada pochi giorni fa per sospetto furto di una lamiera, e quella delle navi di migranti che vagano nel Mediterraneo senza poter attraccare nei porti chiusi dal ministro dell’Interno, incombono sul nuovo governo italiano mostrando le falle del suo populismo e della sua rappresentazione del popolo. “Se populismo è l’attitudine della classe dirigente ad ascoltare i bisogni della gente, se antisistema significa introdurre un nuovo sistema che rimuova vecchi privilegi, ebbene, le forze che compongono questo governo meritano queste definizioni”, ha detto al suo esordio in parlamento il Presidente del Consiglio Giuseppe Conte, rivendicando la natura del sodalizio fra Lega e Movimento 5 Stelle. Si sa che l’Italia è da sempre un laboratorio politico d’avanguardia, capace di inventare, nel bene e nel male, formule politiche inedite e destinate a contagiare le altre democrazie occidentali. Sarà così anche stavolta? Se il populismo è ascolto del popolo, com’è fatto il popolo italiano che questo governo vuole rappresentare? L’ultima alchimia del laboratorio italiano romperà l’equilibrio precario della Ue o si dissolverà nell’impatto con le ferree regole di Bruxelles?

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Figlio legittimo del terremoto elettorale del 4 marzo, il “contratto di governo” siglato dalla Lega e dal M5S nasce dalla pretesa paradossale di unire, sotto la bandiera del rilancio della sovranità nazionale, un “popolo” contrassegnato precisamente dalla tara più antica e strutturale della nazione italiana, lo scarto fra il Nord e il Sud del Paese. La divaricazione fra l’elettorato settentrionale leghista e l’elettorato meridionale dei 5 Stelle si riflette nella contraddizione stridente di un programma di governo che promette contemporaneamente la 'flat tax' agli imprenditori del Nord e il reddito garantito ai 'forgotten' del Sud, due misure di politica economica incompatibili fra loro e con i vincoli europei. Ma questa divaricazione economica e sociale trova la sua ricomposizione politica nelle altre parole d’ordine del programma: barriere contro i migranti, sgombero dei campi Rom, via libera alla legittima difesa armata contro i ladri, uso di spie contro i corrotti, più carcere e meno pene alternative al carcere, salda difesa della famiglia tradizionale (“le famiglie gay non esistono”, parola del nuovo ministro competente). Una mirabile sintesi dell’ideologia di destra della Lega, mal compensata dall’accento “né di destra né di sinistra” dei 5 Stelle sul ripristino dei diritti sociali mortificati da trent’anni di politiche neoliberali 'bipartisan'.

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Quello che dal “contratto di governo” traspare è dunque una visione del “popolo” tutta basata sul rapporto fra deprivati e profittatori, vittime e colpevoli, indigeni proprietari (di ricchezza e di diritti) e stranieri espropriatori, e fra paura e sicurezza, rancore e risarcimento, come se il legame sociale non conoscesse altro registro sentimentale che questo. Per capire come questo immaginario semplificatorio e cupo abbia sfondato in un paese che pure ha conosciuto ben altre stagioni di felicità pubblica occorre fare qualche passo indietro. Il governo populista di Salvini e Di Maio infatti non arriva per caso: corona un lungo trentennio che ha visto susseguirsi sulla scena italiana il populismo etnico e securitario della Lega, il populismo telecratico e “sensoriale” di Berlusconi, il populismo digitale del Movimento Cinque Stelle, il populismo di governo di Matteo Renzi. Esperimenti diversi l’uno dall’altro, ma accomunati dall’appello diretto alle virtù di un “popolo” immaginario contro i vizi delle élite, dalla denigrazione delle istituzioni rappresentative e dei sindacati, dall’appannamento della distinzione fra destra e sinistra, dall’oscillazione fra illegalità e giustizialismo, da retoriche demagogiche e prive di riscontro nelle politiche reali. A fare la differenza fra il primo ciclo populista che si apre all’inizio degli anni 90 (quello della Lega Nord e di Berlusconi), e il secondo che si apre dopo il 2011 (quello del M5S e della Lega trasformata in forza nazionale e nazionalista da Salvini ) sono la crisi economica, la politica dell’austerity imposta dall’Unione europea per fronteggiarla, e il quadro geopolitico. Il nemico del popolo diventa l’establishment di Bruxelles, e gli alleati virtuali diventano Trump, Putin, il blocco di Visegrád, i partiti di Farage e di Marine Le Pen. Il tutto mentre il centrosinistra italiano, erede immeritevole di quella che fino agli anni 80 era stata la più forte sinistra dell’Occidente, si riduceva di anno in anno a mero esecutore “moderato” delle politiche neoliberali.

Con ogni probabilità sarà dunque il rapporto con l’Unione europea a decidere il destino del nuovo governo italiano. Il quale infatti sta già giocando su questo tavolo la sua partita più azzardata: dichiarando guerra a Bruxelles sui migranti e tentando di accreditarsi al G7 come alleato privilegiato di Trump e come “ponte” con la Russia di Putin. Un azzardo tutto politico, perché i populisti italiani sanno bene che sul piano economico la Ue e la Bce li tengono al guinzaglio manovrando lo spread secondo il tasso di adeguamento del nuovo governo alla disciplina del debito.

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L’esito della partita dipenderà in larga misura dalla risposta politica dell’Europa, largamente responsabile, con le sue ottuse rigidità neoliberali, della fortuna dei populismi in Italia e altrove. Se questa ottusità perdurerà, il laboratorio italiano diventerà il laboratorio del disfacimento europeo. Se l’Europa capirà finalmente che il neoliberalismo non è il suo destino, ma un orientamento politico ed economico che può e deve essere abbandonato, il populismo del nuovo governo italiano mostrerà presto, come quelli precedenti, le sue contraddizioni e le sue false promesse. Ma perché l’Europa cambi rotta ci vorrebbe una sinistra europea in grado di fargliela cambiare, e per ora la sinistra italiana non pare affatto in grado di contribuire a questo compito storico.

Il fantasmi di Soumaila Sacko e quello dei migranti che vagano e muoiono nel Mediterraneo ci ricordano intanto che il popolo è lacerato da contraddizioni di classe e di razza che il populismo non vede, che nel mondo globalizzato siamo tutti interdipendenti e vulnerabili, e che la sovranità nazionale è solo un ingannevole mito di ritorno per chi ha paura del presente e del futuro.